Alle origini della storia dell'Alfa Romeo
ritroviamo la "Società Italiana Automobili Darracq" fondata a Roma nel
1906 per la produzione di automobili a basso costo, ma sia l'inizio che
lo sviluppo di tale azienda incontrarono subito moltissime difficoltà
poichè il mercato automobilistico, che aveva conosciuto una forte
crescita fin dai suoi esordi agli inizi del '900, ora subiva una sorta
di assestamento con un calo della vendita di autovetture. Gli
stabilimenti, che erano stati eretti a Milano nell'area denominata il
Portello, passarono dapprima in mano a un gruppo italiano, formato per
lo più da appassionati automobilisti, con la denominazione "Alfa Anonima
Lombarda Fabbrica Automobili", per poi passare nel 1915, dopo essere
stata messa in liquidazione, nelle mani dell'Ing. Nicola Romeo e quindi
alla sua azienda l' "Accomandita Ing. Nicola Romeo e Co."
Nicola Romeo nacque a S.Antimo, in provincia di
Napoli, nel 1876 e si laureò in ingegneria nel 1900 facendo poi alcune
esperienze all'estero, fino a che nel 1911 fondò la Società in
accomandita semplice "Ing. Nicola Romeo e Co." che fabbricava macchinari
e materiali per l'industria mineraria. Fu questa società che gli
permise nel 1915 di rilevare gli stabilimenti del Portello e di
dedicarsi alla produzione di materiali di tipo bellico, ormai era
iniziata la Prima Guerra Mondiale e la richiesta da parte dello Stato di
autocarri e motori si faceva sempre più pressante.
Finita la guerra nel 1918 fu cambiato il nome
della società in "Società Anonima Ing. Nicola Romeo e Co." e, nel
contempo, vennero assorbite: le Officine Meccaniche di Saronno, le
Officine Meccaniche Tabanelli di Roma e le Officine Ferroviarie
Meridionali di Napoli. La nuova società, rogata con atto costitutivo dal
notaio Federico Guasti di Milano, il 3 febbraio 1918, aveva per oggetto
"l'impianto e l'esercizio di industrie meccaniche, siderurgiche,
agricole, minerarie, chimiche ed estrattive in genere, più
specialmente... per l'esercito, l'aviazione, la marina e
l'agricoltura... motori a scoppio per qualsiasi applicazione; aerei,
automobili, locomotive e altri rotabili in genere".
Come si può leggere nell'Atto Costitutivo per
Nicola Romeo la produzione dell'azienda non doveva comprendere solo le
automobili, ma doveva coprire anche le altre aree, anche se poi finì con
il diventare famosa proprio grazie alla produzione delle autovetture.
D'altra parte non aveva neanche trascurato di circondarsi di tecnici
capaci come Giuseppe Merosi, Vittorio Jano ed altri ancora.
Giuseppe Merosi nasce a Piacenza nel 1872, il
capo progettista dal 1910 al 1924 è la persona giusta, dai suoi progetti
escono vetture efficaci e piacevoli, destinate alla strada e alle
competizioni. Il progettista realizza nel 1923 la P1, biposto per le
corse destinata a debuttare nel Gran Premio di Monza, ma l’incidente
mortale di Sivocci durante le prove ferma sul nascere il cammino della
vettura. Più fortunate le automobili per la clientela privata, la RL e
la RM.
Vittorio Jano, torinese, strappato alla Fiat
grazie alla mediazione di Enzo Ferrari, arriva all'Alfa Romeo nel 1923 e
realizza subito la mitica P2, vettura che rimarrà imbattuta per sette
anni, la 1750 che domina la Mille Miglia nel 1929 e nel 1930, la P3 che
dal 1932 diventa la preferita dei più grandi piloti del momento. Lascia
l'Alfa Romeo nel 1937.
Come tutte le altre aziende che avevano
dedicato il periodo della guerra alla produzione aeronautica o di mezzi
pesanti, anche la neonata società si trovò ad affrontare non solo il
problema della riconversione, ma anche tutti i problemi legati alla
recessione economica e alla fine del periodo bellico. Riuscì comunque a
risolvere i propri problemi grazie all'aiuto del "Consorzio sovvenzioni
sui valori industriali" e abbandonando sempre piu le produzioni
aeronautiche per specializzarsi in autovetture, alcune delle quali
conseguirono grandi successi sportivi.
Negli anni '20 l'azienda fu coinvolta in
un'altra crisi, questa volta però legata alla Banca Italiana di Sconto
che deteneva la maggior parte delle azioni, tanto che nel 1927 si pensò
addirittura di metterla in liquidazione. Ma ormai l'Alfa Romeo aveva
acquistato rinomanza sia in Italia che all'estero, intessendo rapporti
commerciali con vari paesi quali l'America, la Spagna, l'Inghilterra e
altri ancora; questo impedì la chiusura di una società così famosa nel
mondo e che non aveva perso tutte le speranze di salvarsi, ma che
sicuramente con una ristrutturazione avrebbe potuto risollevarsi.
Nicola Romeo, Presidente dal 1918, non accettò i
drastici cambiamenti che si volevano attuare, per cui nel 1928 chiuse
definitivamente i suoi rapporti con l'Alfa Romeo per contrasti ormai
divenuti insanabili. Nel 1933 passò alla gestione IRI e venne decisa una
ristrutturazione interna per portare l'azienda ad un graduale
miglioramento proponendo la nomina di un Consiglio di Gestione, eletto
per metà dai soci possessori di capitali e per metà dai lavoratori, con
il compito di varare un nuovo Statuto e portare l'Alfa Romeo a livelli
competitivi con le altre case automobilistiche.
La ristrutturazione non avvenne soltanto per
opera dell'IRI, ma soprattutto grazie agli interventi del nuovo
Direttore Generale Ing. Ugo Gobbato.
Ugo Gobbato nasce a Volpago di Montello, nel
Trevigiano, da una famiglia di agricoltori. Il diploma di Perito
industriale gli permette di fare esperienza in Germania, dove riesce a
laurearsi in ingegneria meccanica. Lavora alla Fiat e nel 1933 subentra
ai vertici Alfa Romeo dopo il difficile passaggio al controllo statale.
Chiamato a salvare il destino dell'Alfa, Gobbato sceglie una linea
prioritaria che abbandona momentaneamente l'auto per dedicarsi a motori
aeronautici e ai mezzi militari. Resiste ai vertici dell'azienda anche
sotto l'occupazione nazista. Il 28 aprile del 1945 a pochi giorni dalla
Liberazione, resta ucciso in un misterioso attentato.
In un verbale del Consiglio d'Amministrazione
l'Ing. Gobbato informava il consiglio di non aver avuto il tempo di
studiare la situazione dell'azienda in modo dettagliato, ma che da un
esame sommario aveva "tratto l'impressione che attraverso una
riorganizzazione sia tecnica, sia commerciale, l'azienda possa avviarsi
verso un avvenire migliore. Ha gia predisposto che la manodopera
esuberante sia adibita ad un reparto speciale a lavori di assestamento e
di riparazione di macchine ed attrezzi ed ancora tende a precisare i
compiti di ognuno... Infine propone che sin d'ora il Consiglio voglia
disporre per l'eliminazione di alcuni dirigenti... le cui funzioni
devono essere soppresse".
Quindi eliminazione di alcuni dirigenti, ma non
della manodopera, che doveva essere impiegata per altri scopi
probabilmente perchè in quel periodo si sentiva la necessità di avere
più operai specializzati che dirigenti, infatti la riduzione toccherà
anche gli impiegati. Proprio riguardo a questi ultimi si legge che "per
eventuali licenziamenti si dovrà tenere conto sempre delle capacità
tecniche particolari di ognuno, dello stato di famiglia e
dell'appartenenza al Partito potendosi preventivamente addivenire ad una
revisione di stipendi per adeguare i compensi alle mansioni svolte".
Quindi cambiamenti drastici, licenziamenti, ma
non avventatezza nelle scelte del Direttore Generale che comunque
cercava di dare delle gratificazioni economiche più adeguate al lavoro
svolto. Attraverso lo studio di Norme generali, Ordini di servizio e
comunicati si può dedurre che nel 1934 l'organizzazione dell'azienda
risultava cosi strutturata:
Dalla Segreteria dipendeva direttamente la
gestione del personale, nel 1938 venne poi anche creato un distinto
Comitato del Personale con il compito di definire le mansioni di tutti i
dipendenti e la retribuzione, cosi come aveva proposto il Direttore
Generale Ugo Gobbato. Inoltre altre mansioni venivano gestite dalla
Segreteria Legale e Sindacale, e nel 1942 venne costituito un Centro di
preparazione del personale comprendente corsi di specializzazione per
ingegneri, periti industriali, apprendisti e operai, per finire nel 1944
a cui vennero affiancate anche attivita relative al dopolavoro.
Le sorti dell'Alfa Romeo cominciavano, quindi, con l'intervento di
Ugo Gobbato, a prendere una piega diversa, tanto che l'occupazione al
Portello salì a 6000 operai, mentre nel 1938 si cominciò a costruire un
nuovo stabilimento a Pomigliano d'Arco (Napoli) ed il capitale venne
notevolmente aumentato.
Intanto la situazione economica dell'Alfa Romeo
registrò anche durante il periodo bellico un bilancio positivo, infatti
il Direttore Generale riferisce che nel 1942 la produzione complessiva
era aumentata del 14% in confronto all'anno precedente e per il 1943 era
previsto un ulteriore aumento sia per quello che riguardava lo
stabilimento di Milano che quello di Pomigliano.
Ma anche quest'ultimo il 30 Maggio 1943 subì un
attacco aereo che provocò la distruzione dello stabilimento e la morte
di impiegati che al momento si trovavano sul luogo di lavoro.
Effettivamente un piano di decentramento era
già in atto anche in questa zona infatti, per un accordo con la Regia
Aeronautica, un reparto motori si trovava già a Marigliano, ma gli altri
reparti e uffici non erano ancora stati trasferiti perchè i lavori
nelle grotte di S.Rocco non erano stati terminati in tempo.
Il piano prevedeva che circa 800 operai si
sarebbero dovuti trasferire per iniziare la lavorazione della prima
linea dell'officina motori, a questo doveva essere aggiunto un reparto
produzione ausiliaria, e, così proponeva il Consiglio di Amministrazione
nella persona di Ugo Gobbato, anche una parte del reparto presse e
leghe leggere. Per tutti gli altri reparti o questi erano impossibili da
trasportare o erano in corso accordi.
E' interessante notare come tra mille disagi si
noti comunque una voglia di continuare, di tenersi in vita; nonostante
le distruzioni e i trasferimenti l'economia e l'azienda dovevano andare
avanti anche se ormai sotto il giogo tedesco non erano più in grado di
prendere delle decisioni autonome.
Infatti nel 1944 l'Alfa Romeo su pressioni
delle autorità tedesche dovette unirsi dapprima in un Consorzio con
l'Isotta Fraschini, a cui si aggiunsero poi anche le Officine Reggiane
formando una società denominata CARIM per la costruzione di alcune parti
del motore Junkers.
Anche questo può dirsi un decentramento poichè
tutti i macchinari erano stati trasferiti nelle grotte di Costozza sotto
lo pseudonimo di Officine C, e si occupavano prevalentemente di
aviazione ed in particolare della produzione di alberi motore.
Questo Consorzio, voluto e nato quando ormai la
guerra volgeva alla fine, fu ben presto abbandonato dalle autorità
tedesche che ormai procedevano nella loro ritirata verso il Nord.
Presidente fu eletto Ugo Gobbato che ha dovuto sempre lottare, come si
vede dai verbali del Consiglio d'Amministrazione, per avere i
finanziamenti dalla Germania, che ormai dettava legge sull'economia
italiana stabilendo prezzi e stipendi.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e dopo
l'uccisione di Gobbato, le sorti della società furono affidate a
Pasquale Gallo; entrato prima come Commissario straordinario ne divenne
poi Presidente, con il compito di "demilitarizzare" gli stabilimenti per
essere di nuovo orientati verso la produzione di automobili e mezzi per
il mercato civile. Nel 1946 l'Ing. Gallo informava il Consiglio
d'Amministrazione che la vendita dei veicoli industriali si era
mantenuta a buon livello, ma con una richiesta comunque troppo
discontinua per poter portare l'Alfa Romeo ad un vero miglioramento
economico.
Se alla fine della Seconda Guerra Mondiale il
problema maggiore dell'azienda era stato quello di conquistarsi un
mercato anche cercando di battere la concorrenza americana che si stava
facendo più forte, ora non era più soltanto una questione di mercato, ma
l'azienda si trovava di fronte anche al fatto di dover ricostruire ciò
che era andato rovinosamente distrutto negli anni precedenti. Per poter
meglio attuare il risanamento si pensò anche di scorporare lo
stabilimento S.Martino a Pomigliano, che, in quel particolare momento,
rappresentava soltanto una fonte di perdite, ma alcuni consiglieri si
opposero a questa decisione premendo affinchè si potesse convincere
l'IRI a trovare una soluzione diversa al problema.
Effettivamente lo stabilimento risultava
importante per la produzione di leghe leggere (Duralfa) omologate
dall'Aeronautica Militare, e non poteva essere accettato un totale
distaccamento da Milano, ma anzi si chiedeva che venisse completata
quella costruzione interrotta con l'inizio della guerra. L'azienda
dimostrava comunque una grande volontà di riprendersi e di partecipare
attivamente alla ricostruzione, per questo non lasciò nulla di
intentato, la sua produzione si orientò anche verso prodotti non tipici
quali saracinesche, infissi, cucine elettriche e, nel contempo, gli
operai cercavano anche di ricostruire gli stabilimenti distrutti del
Portello, di riportare gli impianti decentrati alla base, riparando
quelli danneggiati, cercando insomma di riportare l'Alfa Romeo ad uno
stato prebellico.
Gli stabilimenti di Pomigliano restarono
comunque aperti, e nel 1967 furono affiancati a quelli per la produzione
della vettura Alfasud. Nel 1948 l'azienda passo direttamente sotto la
direzione della Finmeccanica (nata poichè l'IRI, dovendo affrontare
troppi problemi finanziari ed economici in campi industriali differenti,
decise di creare direzioni diverse a seconda delle competenze ) e da
quel momento la produzione cambiò: non più autocarri e motori marini, ma
auto in serie che avrebbero trovato un buon riscontro di mercato e
riportato l'Alfa Romeo a livelli precedenti il secondo conflitto
mondiale.
La vera ripresa si ebbe però solo negli anni
'50 quando arrivò ai vertici dell'azienda Giuseppe Luraghi, già
Direttore Generale della Finmeccanica, il quale aveva capito che la
motorizzazione era ormai diventata un fenomeno di massa e che quindi
anche la produzione doveva adeguarsi producendo vetture di tipo medio e
più commerciabili.
L'Alfa Romeo venne così a trovarsi in una
situazione economica favorevole tanto che nel 1960 venne cominciata la
costruzione di nuovi stabilimenti ad Arese, che entrarono in funzione
nel 1963, dato che ormai il solo Portello risultava insufficiente a
sostenere i nuovi carichi di lavoro (si passò dalle 6104 unità del 1955
alle 57870 del 1960).
Sempre negli stessi anni si decise la creazione
di un nuovo stabilimento a Pomigliano che doveva produrre vetture di
fascia inferiore, la cui responsabilità di costruzione e gestione fu
affidata all'Ing. Rodolfo Hruska. Questi furono realizzati in accordo
con l'IRI e il Cipi vista la continua espansione del mercato
automobilistico, e sulla base di alcune considerazioni dettate da
obiettivi di sviluppo regionale e di investimento.
Le ragioni che dettarono la riapertura dello stabilimento furono sostanzialmente tre:
- La forte immigrazione che dal sud si
spostava verso il nord avrebbe ben presto fatto nascere notevoli
problemi di sovraffollamento, per cui risultava improponibile la
costruzione di un nuovo stabilimento al nord.
- In quegli anni, fu varata una legge che
favoriva l'industrializzazione al sud e che permetteva di usufruire di
facilitazioni finanziarie.
- L'Alfa Romeo aveva avuto già un'esperienza positiva negli anni '40 impiantando uno stabilimento al sud.
L'Alfasud, purtroppo, si trovò subito in serie
difficoltà finanziarie poichè da una parte non riusciva a rispondere
pienamente alle richieste del mercato, mentre dall'altra si trovava a
dover affrontare non solo la crisi energetica, ma una più generale che
comprese tutto il mondo dell'industrializzazione negli anni '70.
Si trovò quindi a dover riesaminare tutti i
preventivi fatti precedentemente e che ormai non trovavano più riscontro
nella nuova realta economica, in più doveva risolvere problemi interni
causati dagli operai e dalle maestranze derivati dal disaccordo tra
quelli arrivati dal nord e i nuovi assunti del sud.
In pratica il problema maggiore fu dato dal
fatto che l'Alfasud non fu un'azienda del meridione, ma del nord; prova
ne furono gli uffici che furono trasferiti a Napoli solo qualche anno
dopo l'apertura dello stabilimento (1971), per cui fino ad allora
avevano operato in un ambiente sociale ed economico differente a quello
degli stabilimenti.
Nel 1972 Luraghi lasciava l'Alfa Romeo e questa
si trovò ad affrontare un lungo periodo di transizione, coincidente con
le massicce rivendicazioni sindacali e operaie che caratterizzarono gli
anni '70, fino all'arrivo nel 1978 di Ettore Masaccesi il quale attuò
una nuova ristrutturazione, la seconda dopo quella realizzata da Ugo
Gobbato negli anni '30, per meglio inserirla nelle nuove congiunture
economiche e di mercato.
La ristrutturazione interna prevedeva il
risanamento finanziario e il rifacimento degli obiettivi che dovevano
essere più rispondenti alla realtà; in pratica un'organizzazione non più
orientata verso la tecnica, ma verso il mercato sviluppando sia le
funzioni finanziarie che il Controllo di Gestione e la Direzione
Commerciale.
L'Alfa Romeo non riuscì più a seguire il
processo di crescita che aveva conosciuto con Luraghi, anche la Joint
Venture con la casa automobilistica giapponese Nissan (AR.N.A. Alfa
Romeo Nissan Autoveicoli), per la produzione di una nuova vettura, non
dette i risultati sperati e nel 1986 la Finmeccanica la cedette al
gruppo FIAT che la concentrò insieme con Lancia in un nuovo
raggruppamento denominato "Alfa Lancia S.p.A.", divenuto operativo nel
1987.
L'Evoluzione del Marchio
Dal 1910 al 1915
Il marchio Alfa Romeo era costituito da due
simboli milanesi: il serpente visconteo in campo azzurro e la croce
rossa in campo bianco, racchiusi in un piccolo cerchio metallico sul
quale si leggeva la scritta ALFA-MILANO. Sui modelli costruiti dal 1910
al 1915, il diametro esterno dello stemma era di 65 mm con le scritte
ALFA e MILANO separate da due nodi sabaudi.
Dal 1915 al 1925
Quando la fabbrica fu acquistata da Nicola Romeo, sul piccolo cerchio metallico fu scritto: ALFA ROMEO-MILANO.
Dal 1925 al 1946
Dopo la vittoria del 1° Campionato
Automobilistico del Mondo con la P2, il marchio venne circondato da una
corona di alloro in metallo sbalzato. Il diametro del cerchio passò da
65 a 75 mm. Dal 1930 venne ridotto a 60 mm e rimase invariato fino al
1945.
Dal 1946 al 1972
Con la caduta della Monarchia e la
proclamazione della Repubblica, i nodi sabaudi si trasformarono in due
linee ondulate. Il diametro era di 54 mm. Dal 1950 fu realizzato in
ottone smaltato conservando lo stesso diametro di 54 mm e dal 1960 venne
eseguito in materiale plastico.
Dal 1972 ad oggi
Con la costruzione dello stabilimento ALFASUD
di Pomigliano, scomparve dal marchio la parola MILANO e rimasero i due
simboli milanesi sormontati dalla scritta ALFA ROMEO.
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